Quando ieri mi sono ritrovata a dover spiegare ai miei figli il significato del “congresso del Partito Democratico” e relativo tesseramento, inizialmente l’idea dell’esprimere un voto da parte unicamente dei tesserati era per loro un fatto sensato: partecipa alle scelte interne del partito chi è interno al partito.
Vanno però sempre considerati gli effetti delle azioni, non solo il principio da cui partono. E lì, sono venute fuori le storture.
Il vizio del “pesare” a seconda del numero delle tessere è un vizio antico: fa leva sull’ascendente che i politici hanno sulle persone comuni in un paese corrotto. E’ un modo per i politici, per contarsi e vedere chi “pesa” di più. Infantilismo politico.
Come funziona? Moltissime persone comuni, per nulla interessati alla vita e alle vicende del partito ma vicine a politici evidentemente facoltosi, assecondano un “bisogno” del politico loro amico che paga loro le spese del tesseramento. Il politico ricambierà il favore in qualche modo. Traduzione: ti tessero al mio partito a spese mie, tu voti come ti indico io, quando te lo dirò io, e tu avrai in me il “santo in Paradiso” che ti serve per qualsiasi cosa. Beh, un bell’investimento per il comune cittadino che vive in un’Italia dove la burocrazia e gli avanzamenti si vincono con le conoscenze! A spese zero, tra l’altro!
Peccato che questo metodo mortifica e inquina l’intero sistema della partecipazione e della rappresentanza. Con questo sistema succede che chi ha più soldi fa più tessere e vince le competizioni dei congressi. Ma a cosa serve vincere un congresso? A collocare persone fedeli nei punti chiave del partito per gestirlo e orientarlo nelle sue scelte. Tutto sbagliato. Il partito dovrebbe essere altro.
“Beh, mamma, tanto vale aprire i congressi a tutti senza bisogno delle tessere, almeno non vince chi ha più soldi!”
Conclusione assolutamente di senso.
Largo ai giovani…