Stride. E lo senti per alcuni giorni.
È come andare in discoteca quando hai la morte nel cuore.
Ormai le vittime del terremoto sembra quasi di conoscerle: la nonna e i due nipoti, la coppia trovata abbracciata, il bambino di 8 anni, il cane esausto e poi morto, il sindaco di Amatrice e il suo assessore a riconoscere i corpi prima di andare dai propri familiari… Un dramma che la tv ci mette dentro, anzi, nel quale ci catapulta e di cui abbiamo necessità di conoscere altro ed altro ancora.
Ci si prodiga in mille diversi modi: donazioni di denaro, di beni di prima necessità, circolazione di informazioni, attivazione di punti di raccolta…
Anche perché noi, in fondo, stiamo nelle nostre case e abbiamo tutto: loro non hanno più niente, neanche gli affetti. E questo ti mette in uno stato di lutto, quasi un sano senso di colpa che ti porta a condividere quello che hai con chi non ha.
Ed ecco lo stridore: i fuochi d’artificio di ieri sera erano meravigliosi: li ho visti da casa. Non avevo voglia di uscire, ma i fuochi si vedevano ed erano maestosi, ricchi, coloratissimi… a festeggiare? Facevo fatica a ricordare cosa.
Ecco allora lo stridore.
E ancora concerti in ogni borgo di Latina, in città, la notte bianca con apertura dei musei ecc…
Bello, tutto bello.
Ma stride.
È vero, come ha detto il sindaco Coletta, “La cultura può e deve essere, in certi momenti, un “luogo” di incontro per esprimere e ribadire insieme vicinanza, sostegno, incoraggiamento”. Ma la cultura deve anche sapere e volere accogliere i sentimenti più profondi della propria comunità che vorrebbe momenti di condivisione e di riflessione più in sintonia con il comune sentire di un lutto profondo come quello che oggi tutti proviamo.
È una questione di opportunità che merita scelte in sintonia con il cuore della propria comunità.