Auschwitz: memoria di un’esperienza

“Vogliamo conservare gli oggetti originali dei deportati perché sono le uniche attestazioni della loro esistenza come persone.”

foto (2)La visita ad Auschwitz fatta con la delegazione del Comune di Latina-  accettando l’invito del direttore del museo e della città di Oświęcim – è stata un’esperienza fortissima.
Il campo di Auschwitz ha un museo con oggetti appartenuti ai deportati: montagne di scarpe, di capelli, di occhiali, le tele dei rabbini, image_2valige con su scritto il nome, data di nascita e numero convoglio… pensavano che avrebbero potuto riprendere i loro oggetti una volta conosciuta la loro destinazione finale.
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Guardi le montagne di questi oggetti, e pensi ad una moltitudine fatta di persone come te, trasfigurate però nei volti, annullate da una follia politica collettiva e da un calcolo diabolico.
Una sezione non aperta al pubblico del museo di Auschwitz conserva centinaia di opere d’arte (disegni, ritratti, quadri…) ad opera di deportati che nel ‘tempo che gli restava’ all’interno del campo, si esprimevano in forma artistica. Il tema dei loro disegni era la loro vita lì, ad Auschwitz.foto 2
Come può l’animo umano in una condizione di tale aberrazione trovare modi raffinati di espressione e di raffigurazione?
Come può un uomo ridotto a larva produrre arte?

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Lo scopo del museo è esporre oggetti “veri“. Questi oggetti sono trattati forse meglio di reliquie: hanno il peso della dignità del loro proprietario. Le scarpe, ad esempio, vengono trattate con i mezzi più sofisticati per un processo di conservazione per il futuro che mantenga la memoria di chi le ha indossate: temperatura, luce, sostanza applicate. foto (4) ”Cerchiamo di non modificare l’impronta del piede che ha modellato la scarpa: è l’unica traccia della persona deportata, di quel singolo individuo e questo per noi racchiude il senso del nostro lavoro. Non tutti riescono a lavorare qui”. Addirittura sezioni del pavimento vengono recuperate, trattate e conservate: sono state calpestate dai deportati. E’ questo il loro valore.
Nella precisione ossessiva dei tedeschi tutto doveva essere ordinato: i deportati curavano il prato sempre perfetto e verde, le aiuole con i fiori mentre in ogni sezione si procedeva a mandare avanti la macchina della morte collettiva.
imageHo visto dove venivano fatti morire i “ribelli”. Costretti in 40 in uno spazio di 6mq per aver bevuto un po’ di acqua al di fuori dell’orario consentito o per aver urinato senza permesso: lasciati per giorni nelle loro urine e feci in piedi… prima a morire soffocati, poi di puzzo e di fame.
Nella stanza accanto è morto Padre Massimiliano Kolbe in simili condizioni condannato alla fucilazione.
Se in croce è morto un uomo-Dio, ad Auschwitz si è tentato di far morire Dio nell’uomo. Ma qui, nonostante tutto parli di morte, attraverso la memoria che trova mille forme per restare in vita, lo spirito vitale dell’Umanità si diffonde e cresceimage_4
Quel deportato, icona di un martirio, nella sua vita quotidiana prima di Auschwitz era forse un disonesto, un meschino, un superficiale oppure una brava persona.
Non perché sia morto ad Auschwitz ha più dignità dei deportati di oggi, vittime di una economia mondiale che impone povertà e flussi di disperati che fuggono da guerre e condizioni disumane create da una logica che interpella anche noi.
Non meno dignità hanno quei rom fastidiosi che ci chiedono costantemente una moneta o che ci vogliono lavare i vetri: anche loro erano ad Auschwitz. Anche loro portavano quelle scarpe, portavano quegli occhiali, sono entrati in quelle stanze e hanno respirato il cianuro intrappolato nei polmoni diventati polvere e poi chissà cosa…
La convivenza civile necessita di regole a tutela di tutti che vanno rispettate e vanno fatte rispettare: questa la responsabilità di tutti noi.
Ma la dignità della persona non va mai dimenticata.

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