I Fondi europei sono la grande opportunità per sostenere lo sviluppo
Credo che sia d’obbligo, nella nostra provincia, un passaggio di tipo culturale che avrà ripercussioni sul futuro del nostro territorio al quale, non dimentichiamo, sono collegate le vite delle persone.
Ed il passaggio è il seguente.
L’Europa è per l’amministrazione italiana una GRANDE OPPORTUNITÀ. Rabbrividisco quando sento parlare di uscire dalla comunità europea, di tornare alla Lira… Con queste affermazioni dimostriamo di essere ignoranti, arretrati, ciechi.
E adesso vediamo perché.
Innanzi tutto dobbiamo prendere atto di un fatto importante: l’unico modo di avere accesso a denaro sonante trasferito in grandissime quantità sono i FONDI EUROPEI. Voglio elencare i settori che l’Europa foraggia con moneta sonante. Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo di coesione (FC), il Fondo europeo agricolo di sviluppo regionale (FEASR) e il futuro Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP)
E ricordiamoci che, nel momento in cui si progettano e si realizzano interventi in questi ambiti, si mette in moto un meccanismo di indotto lavorativo non indifferente. Non solo. Dal 2000 al 2013 sono stati erogati diversi milioni nelle casse degli Enti Locali dei comuni di Fondi, Formia, Latina, Terracina, nelle Comunità Montane, nei Consorzi per lo sviluppo Industriale Roma-Latina e Sud-Pontino, delle Piccole e medie imprese, e dei singoli imprenditori e associati.
Ma adesso una domanda.
Quanto è rimasto sul territorio? Cosa ricordiamo noi COMUNITÀ di questi interventi? Che ricadute occupazionali e di sviluppo abbiamo avuto? Alcuni esempi in rappresentanza dei più. Il centro intermodale di Latina Scalo: non a caso è stata fatta un’interrogazione parlamentare Europea per accertare se i fondi FESR assegnati a favore del centro intermodale di Latina Scalo siano stati effettivamente utilizzati in modo conforme alla legislazione dell’UE.
Ed è stata avviata un’indagine a riguardo. (Dopo aver analizzato le informazioni la Commissione ha deciso di dichiarare che tutte le spese legate al progetto «Infrastruttura integrata piattaforma logistica Latina Scalo», cofinanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale nel periodo 2000-2006, non erano ammissibili. Le spese relative al progetto sono state pertanto detratte dalla dichiarazione di spesa finale.) E comunque, abbiamo utilizzato fondi per qualcosa che NON È FUNZIONANTE, che non utilizziamo, una cattedrale nel deserto.
Un altro esempio: l’area fieristica Ex-Rossi Sud. Inaugurata due o tre volte, ormai, ogni volta lasciata all’incuria e all’incapacità gestionale. Entrambi costati alla Comunità Europea oltre 40 milioni di Euro. Cosa è rimasto alla collettività? Niente.
Un altro caso nei pressi della nostra città: l’intera area delle Ferriere e dell’Astura compresa l’area archeologica di Satricum. Anche li diversi milioni di euro. E cosa ci rimane? Niente.
Ad oggi abbiamo finanziamenti ingenti con i PLUS che coinvolgono i Comuni di Latina, Cisterna, Fondi e Formia con finanziamenti che superano, per ogni progetto, 8milioni di Euro. Speriamo di rispettare la tempistica imposta dalla Comunità Europea. A parte una riflessione di tipo etico che ci dovrebbe interrogare sul fatto che stiamo letteralmente SPRECANDO soldi dei cittadini italiani ed europei.
L’altra riflessione è riguardo al perché non siamo capaci di trarre beneficio da questi interventi. Come mai non li sfruttiamo per creare occupazione? Perché non abbiamo ricadute positive sui nostri territori in termini di sviluppo? Cosa ci manca?
Nel Rapporto sullo Stato di Attuazione della politica di coesione al 31/12/2012, la Regione Lazio è annoverata tra le 4 regioni più sviluppate d’Italia ad avere un maggior ritardo nell’avanzamento della spesa dei fondi Europei. Le spese impegnate giuridicamente vincolanti sono solo il 60% del totale dei progetti approvati. E questo significa che i fondi arrivano agli enti locali e ai privati in misura quasi dimezzata. E qui paghiamo lo scotto dell’arretramento culturale che abbiamo in termini di approccio ai fondi europei.
Ci sono due approcci di accesso ai fondi europei: l’accesso di tipo CONTINGENTE e l’accesso di tipo STRATEGICO.
Quello che utilizziamo purtroppo noi è CONTINGENTE: si cerca la disponibilità di bandi aperti e si “cuce” un progetto li per li. L’ente non ha personale specializzato per i fondi europei, quindi è costretto a coinvolgere CONSULENTI ESTERNI, spesso opportunisti e costosi. Spesso sono bandi indicati o suggeriti direttamente da politici a enti o gruppi secondo un canale di relazione privilegiata e personalistica. senza nessun tipo di coerenza progettuale rispetto allo sviluppo del territorio. Si risponde al bando mettendo insieme un po’ di elementi che il bando richiede e sperando nella spinta del politico. Magari viene vinto il bando e arrivano i fondi, ma, secondo il modello già visto dell’intermodale &Co., poi finisce tutto li. Altissimo tasso di insuccesso. Spesso questi fondi vengono strumentalmente utilizzati per aumentare la capacità di consenso di questo o quel politico “responsabile” dell’attribuzione dei fondi.
STRATEGICO: l’ente è a conoscenza del fabbisogno del proprio territorio (raccolta di dati e studi settore per settore) e ha già stilato una programmazione economica strategica che serve a definire un Piano Triennale di Europrogettazione. Questa programmazione stabilisce i risultati che si vogliono ottenere ex-ante previa consultazione delle parti coinvolte nell’attuazione per dare vita ad una vera e propria VALUTAZIONE PUBBLICA. Ha come referenti i FUNZIONARI delle regioni presso la sede europea, non I POLITICI DI RIFERIMENTO!
Il motivo per cui si ricorre al politico di riferimento è duplice: da una parte è un facile modo per guadagnare punti localmente, l’altro è l’inefficienza della macchina regionale riguardo all’Europa: il personale deve essere competente, qualificato e non può ricoprire quel ruolo perché in quota a questo o a quell’altro politico.
Dobbiamo metter su una macchina da guerra per utilizzare i fondi europei PER FAR RIPARTIRE LO SVILUPPO NELLA NOSTRA PROVINCIA! E qui non c’è bisogno di “filiera politica”, bensì di continuità di gestione all’interno degli uffici.
Gi uffici Europa devono lavorare a prescindere dai legami politici, perché i progetti europei hanno un range di programmazione e di attuazione che va oltre i tempi delle consiliature e dei mandati politici. Cambiare ogni volta il personale degli uffici equivale a interrompere ogni volta il flusso europeo e ricominciare daccapo. Equivale a tramortire ogni volta un atleta che dovrebbe invece correre spedito. Bisogna introdurre la figura di un “european civil servant” e introdurre attività di formazione ciclica rivolta a funzionari e dirigenti rispetto ai programmi UE e sulle tecniche di progettazione europea. Abbiamo la spending review: bene, valorizziamo allora le risorse interne all’Ente invece di ricorrere a consulenti esterni.
Cos’altro manca?
I processi decisionali PARTECIPATIVI
Questa è la metodologia che l’Europa ha scelto non per buonismo, ma perché nel corso degli ultimi 20 anni l’approccio allo sviluppo di tipo partecipativo ha dimostrato, con dati numerici concreti, di essere il più efficace in termini di attuazione di politiche di sviluppo.
Per il periodo di programmazione 2014-2020 TUTTI i fondi del Quadro Strategico Comune (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, Fondo Sociale Europeo, Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, Fondo Europeo per gli affari Marittimi e della Pesca) verranno erogati utilizzando questa metodologia, quella partecipativa.
Dobbiamo strutturare e istituzionalizzare delle reti locali e partenariati a mo’ di conferenze o consulte per cui l’Amministrazione si deve fare promotrice. Dobbiamo garantire la PARTECIPAZIONE dei soggetti coinvolti dai progetti europei: l’Europa ha un nome per questi soggetti: li chiama GRUPPI DI AZIONE LOCALE che non sono altro che i rappresentanti degli interessi socioeconomici locali, pubblici e privati: imprenditori, associazioni di categoria, associazioni di quartiere, gruppi di cittadini, associazioni di volontariato…
Pensate, i partner della società civile e del settore privato dovrebbero avere almeno il 50% del potere decisionale rispetto alla definizione dei progetti europei.
Le comunità non sono OGGETTO di politiche europee, bensì SOGGETTI, vanno quindi incontrate, consultate e rese protagoniste.
È meglio che ci attrezziamo: diventare europei comporta un ricambio generazionale, un cambio culturale, un voltare pagina che richiede coraggio e una maggiore libertà. Ma soprattutto richiede di sentirci una comunità che guarda al futuro.