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Renzi twitta, i docenti scendono in piazza.

imageMatteo Renzi twitta:”Preside sarà valutato. Parliamone, ma nel merito. Preside con più responsabilità ma non padrone. no aziende nei Cons Ist. Precari che hanno titolo sono assunti”

Ad alcuni sembra strano che stia montando questa protesta nei confronti della “buona scuola” del governo Renzi: 100.000 assunzioni, eliminazione del precariato, 7 miliardi di euro investiti nella scuola, € 500 a docente all’anno per aggiornamento e formazione…
Quando la riforma Gelmini distrusse la scuola togliendo 8 miliardi di euro in tre anni, annientando intere classi di concorso, riducendo l’orario curriculare e aumentando il numero degli alunni per classe non ci fu tutta questa mobilitazione…

Come mai?

È stato un errore secondo me aver messo tutto insieme in un unico provvedimento: regolarizzazione dei precari, sistema di reclutamento dei docenti, super poteri al dirigente scolastico, autonomia e organico funzionale, €7MLD, aggiornamento finanziato individualmente…

Il punto più sensibile è il tema del reclutamento dei docenti a discrezione di un unico individuo: il Dirigente Scolastico.
Siamo in Italia e non abbiamo la cultura del merito che nutre le scelte che si fanno in ambito di bene pubblico: c’è più “merito” nell’essere “figlio di” piuttosto che avere a proprio titolo pubblicazioni ed esperienze riconosciute all’estero.
La fuga dei cervelli italiani ne è una triste prova.

Se andiamo a vedere il metodo di reclutamento degli insegnanti in Europa e nel mondo, notiamo subito che nei paesi che hanno conosciuto direttamente un sistema totalitario (Italia, Germania, Francia, Spagna) il metodo di reclutamento è principalmente per concorso o attraverso una graduatoria: un metodo trasparente che certifica competenze risolvendo in questo modo il problema delle priorità e soprattutto evitando la figura del “singolo che decide”.
Quindi la priorità va a chi certifica maggiori competenze secondo criteri e parametri stabiliti a livello nazionale.
Se questo sistema funzioni davvero in Italia e ci tuteli davvero da chi è raccomandato, ne abbiamo tutti un po’ il dubbio, ma è il sistema che fino ad oggi riteniamo il migliore e che, assieme agli altri pesi e contrappesi, dovrebbe prevenire derive autoritarie

Nei paesi dove il merito è comunemente riconosciuto come il criterio fondamentale per reclutare personale qualificato, (mondo Anglosassone, Paesi Scandinavi e resto del mondo) gli insegnanti fanno un colloquio e vengono assunti da chi dirige la scuola.
Nel rapporto e Eurydice si legge: “una minoranza di paesi europei fa ormai uso di meccanismi centralizzati di selezione degli insegnanti. La maggior parte dei paesi europei dispone di un sistema di assunzione molto decentrato, denominato assunzione aperta, in cui il processo di relazioni tra gli insegnanti in cerca di occupazione e le cattedre disponibili al luogo a livello di istituto. ”
È lo stesso criterio adottato anche negli Stati Uniti.

L’idea che muove questa scelta è la seguente: se ho insegnanti capaci, bravi, motivati e motivanti avrò molti studenti iscritti alla mia scuola e sono gli iscritti che potranno garantire la continuità dell’esistenza della mia scuola.

Probabilmente la riforma della “buona scuola” intendeva proprio agganciare l’Italia al sistema meritocratico vigente nella maggior parte dei paesi del mondo.
Ma l’Italia non è come i paesi anglosassoni. Abbiamo testimonianza di una strada intrapresa che andava verso questa direzione e che si è miseramente interrotta.

Mi riferisco alla riforma del Titolo V della Costituzione Italiana che sgancia di fatto la scuola dal centralismo nazionale e le conferisce autonomia pur nel rispetto di standard nazionali. Purtroppo l’esito (monco) della modifica del titolo quinto è finito con l’essere una mera operazione di decentramento e di semplificazione amministrativa, mentre il momento centrale e fondante del servizio di istruzione riformato doveva essere in grado di finalizzare meglio i propri interventi per una maggiore garanzia del diritto all’istruzione.
La forma concreta attraverso cui cambiare la scuola risiedeva nell’organico funzionale, ovvero stabilire in perfetta autonomia una dotazione di docenti per raggiungere il proprio obiettivo (docenti che non fossero sovraccaricati fino all’inverosimile di lavoro burocratico come è oggi, ma liberi di potersi attivare per il raggiungimento degli obiettivi che la scuola stabiliva nell’esercizio della propria autonomia).
Purtroppo, a questa autonomia di progettazione non è corrisposta una autonomia finanziaria, elemento indispensabile per poter raggiungere questi obiettivi e attuare questi progetti.

Quindi l’idea c’era, ma mancavano le risorse finanziarie.

La “buona scuola” introduce un elemento in più nella direzione di una piena autonomia dell’istituzione scolastica, ovvero la scelta del proprio organico, la scelta del motore della propria macchina: i docenti.

Ma, la mia domanda è questa: è possibile “tout court” applicare il criterio anglosassone del merito in un paese come l’Italia che ha una storia radicata di familismo e clientelismo?
Secondo me no.

Non sono pessimista o retrograda: osservo la realtà dei fatti.

Certamente il merito deve diventare il “criterio principe” attraverso il quale vengono fatte le scelte per tutto ciò che è pubblico, e quindi a servizio dei cittadini, ma se rispetto ad un dirigente che sceglie i propri docenti non c’è un sistema di contrappesi che tuteli i docenti da familismi o clientelismi, questo sarà un sistema iniquo e soprattutto che non è destinato a funzionare.

C’è anche un’altra necessità: quella di stabilire un sistema certo ed efficace che tuteli e protegga i bambini e ragazzi e giovani da insegnanti che si dimostrano dannosi.
Quanti di noi come genitori non hanno sperimentato l’inadeguatezza di alcuni docenti? Quando si è dalla parte dei genitori si comprendono le falle del corpo docente e del sistema che dovrebbe controllare e garantire un livello qualitativamente alto di offerta formativa.
Il sistema attuale è inefficace, a tratti connivente.

Per questo, in Italia, dare questa facoltà al dirigente scolastico non è una soluzione percorribile.

Abbiamo ancora bisogno di più trasparenza, di criteri condivisi e coniugati ad un maggior riconoscimento del valore e delle competenze di chi lavora di più e meglio tra i docenti.

E forse il punto è proprio questo: chi può dirlo?